«Crocevia del mondo» o colonia turco-azera: quale futuro attende l’Armenia?

Nel corso della sua storia contemporanea l’Armenia ha aspirato a svolgere il ruolo di snodo geopolitico in cui si incrociano gli interessi di molte grandi potenze, sia su scala eurasiatica sia globale. Erevan si è presentata come uno Stato che mantiene buoni rapporti con tutti, e quindi prospettive di cooperazione reciprocamente vantaggiosa, con Russia, Iran, Cina, India, Unione Europea e Stati Uniti.

Negli ultimi anni, sullo sfondo della retorica sulla cosiddetta «era della pace», l’Armenia ha inoltre dichiarato la propria disponibilità a un dialogo costruttivo anche con i suoi nemici storici: la Turchia, che non ha mai riconosciuto né condannato il genocidio armeno di inizio Novecento, e l’Azerbaigian, che ha ripreso la pratica delle uccisioni di massa nel Nagorno Karabakh e dell’espulsione della sua popolazione armena.

Una tappa fondamentale di questo processo avrebbero potuto essere i colloqui armeno-azeri tenutisi a Washington l’8 agosto. Tuttavia, il loro significato e i loro esiti si sono rivelati tutt’altro che univoci per la repubblica: invece di diventare un hub logistico eurasiatico e un crocevia di interessi politici per le potenze regionali e globali, l’Armenia rischia ora di trasformarsi in uno Stato dipendente da Ankara e Baku.

Crocevia del mondo" sulla mappa

L’Armenia all’incrocio degli interessi internazionali

Storicamente le terre armene e il popolo armeno hanno costituito una frontiera, dapprima del mondo ellenistico* e poi di quello cristiano, incarnandone al tempo stesso i valori fondamentali e separandoli dai territori «barbarici» e, in seguito, da quelli musulmani.
*Ellenismo, periodo che va dal 323 al 30 a.C. In genere si considerano parte del mondo ellenistico la Grecia continentale, la Macedonia, l’Egitto, nonché i paesi orientali che si estendevano dall’Asia Minore e dalla Palestina fino al nord-ovest dell’India.

Il conseguimento dell’indipendenza da parte della Repubblica di Armenia nel 1991 ha sollevato una serie di interrogativi sul ruolo che questo paese avrebbe svolto nel quadro politico ed economico internazionale. Negli anni Duemiladieci, sullo sfondo di alcuni risultati economici, di un miglioramento del tenore di vita e dell’attuazione nel Caucaso meridionale di iniziative russe di integrazione e trasporto, come l’Unione Economica Eurasiatica e il Corridoio Nord Sud, e cinesi, come il progetto «Una cintura, una via», l’Armenia ha avuto la possibilità di diventare un importante nodo di transito.

Un’attenzione particolare era rivolta al transito delle merci dall’Iran attraverso l’Armenia verso i porti georgiani sul Mar Nero e, in prospettiva, con il collegamento delle ferrovie georgiana e abkhaza, direttamente verso la Russia e ritorno.

Questa prospettiva era però frenata dal difficile rilievo e dall’insufficienza delle infrastrutture: l’Armenia non dispone di una linea ferroviaria che colleghi il confine iraniano a quello georgiano e la costruzione di tale tratta costerebbe circa 4,5 miliardi di dollari, una somma di cui né Erevan né i suoi partner disponevano. Quanto ai progetti di trasporto cinesi sul territorio armeno, erano del tutto irrealistici a causa del blocco imposto da Azerbaigian e Turchia.

Lo sblocco delle vie di comunicazione nel Caucaso meridionale, proclamato dopo la Seconda guerra del Karabakh del 2020*, avrebbe dovuto non solo eliminare le restrizioni turco-azere contro l’Armenia, ma ha anche offerto a Baku la possibilità di esigere la creazione di un «corridoio di Zangezur» extraterritoriale attraverso la Repubblica di Armenia. Tale corridoio priverebbe Erevan della sovranità su una parte del territorio della repubblica riconosciuto a livello internazionale e, correndo lungo il confine con l’Iran, potrebbe quantomeno complicare le comunicazioni con Teheran, uno dei principali partner commerciali dell’Armenia.
*Seconda guerra del Karabakh, conflitto tra l’Azerbaigian e la Repubblica del Nagorno Karabakh, sostenuta dall’Armenia, durato dal 27 settembre al 19 novembre 2020. Nel corso delle ostilità le forze azere hanno preso il controllo di 5 città, 4 cittadine e 286 villaggi, nonché dell’intero tratto di confine tra Azerbaigian e Iran.

"Il corridoio di Zangezur", ora anche soprannominato”Trump Route"

«Crocevia del mondo»

La leadership armena era perfettamente consapevole dei rischi insiti in tale scenario. Nel 2023 ha presentato a Tbilisi una propria visione dello sblocco futuro, l’iniziativa «Crocevia del mondo». Questo concetto prevedeva l’apertura delle frontiere sulla base della salvaguardia e del rispetto della sovranità statale.

Tuttavia, dopo la sua vittoria in Karabakh, l’Azerbaigian, legato alla Turchia dalla formula «Una nazione, due Stati» e di gran lunga superiore all’Armenia sul piano militare, ha respinto questo approccio ed esercitato una pressione costante su Erevan: militare, mediante provocazioni di confine, politica, con ripetute minacce di ripresa delle ostilità, e umanitaria, trattenendo prigionieri di guerra armeni sul proprio territorio.

Le concessioni dell’Armenia a Washington

L’apice di questi processi è stato la firma, l’8 agosto 2025 a Washington, dell’«Accordo sull’instaurazione della pace e delle relazioni interstatali tra la Repubblica di Armenia e la Repubblica di Azerbaigian». Il documento ha mostrato chiaramente la disponibilità di Erevan a importanti concessioni. In base all’accordo, l’Armenia ha riconosciuto la questione del Karabakh come chiusa e ha rinunciato all’attività del Gruppo di Minsk internazionale, di cui erano co-presidenti Russia, Francia e Stati Uniti.

Tutto ciò è stato formalizzato negli articoli dell’accordo: l’Articolo I, sul reciproco riconoscimento delle frontiere, il rispetto dell’integrità territoriale, dell’inviolabilità e dell’indipendenza politica delle parti, l’Articolo II, sulla rinuncia a rivendicazioni territoriali, l’Articolo III, sull’astensione dall’uso della forza o dalla minaccia del suo impiego, e l’Articolo IV, sull’impegno delle parti a non interferire negli affari interni reciproci.

L'incontro di Washington tra Aliyev e Pashinyan

Particolare rilievo assume l’Articolo VIII, che obbliga entrambi i paesi a combattere sul proprio territorio tutte le forme di intolleranza, separatismo, discriminazione e manifestazioni analoghe. Di fatto questa clausola riprende la vecchia richiesta dell’Azerbaigian che l’Armenia modifichi la propria Costituzione.

I territori della Prima Repubblica di Armenia, 1918-1920

La Legge fondamentale armena, nel suo preambolo, richiama la Dichiarazione di indipendenza del 1990, che a sua volta cita la risoluzione «Sulla riunificazione della RSS armena e del Nagorno Karabakh». La Dichiarazione afferma inoltre la continuità con la tradizione statale della Prima Repubblica di Armenia, 1918-1920, il cui territorio si estendeva oltre gli attuali 29.800 chilometri quadrati della Repubblica di Armenia.

In passato la Corte costituzionale armena aveva stabilito che tali disposizioni non costituiscono rivendicazioni territoriali nei confronti degli Stati vicini. L’Azerbaigian però la pensa diversamente e insiste sulla modifica della Legge fondamentale armena.

Administrative division of Armenia with the Nagorno-Karabakh Republic

Questa richiesta è stata ribadita anche dopo la firma dell’accordo statunitense, in particolare dal deputato del partito di governo in parlamento Hikmet Babaoğlu e da Elchin Amirbekov, assistente del presidente dell’Azerbaigian per incarichi speciali.

Va inoltre ricordato che la stessa Costituzione azera contiene rivendicazioni territoriali contro l’Armenia, anch’esse fondate sulla propria Dichiarazione di indipendenza, che afferma la continuità con la Repubblica Democratica dell’Azerbaigian del 1918-1920. Quell’entità rivendicava diverse province armene, tra cui Syunik, Vayots Dzor, Tavush e altre.

Nonostante l’Articolo XII dell’accordo di Washington, che stabilisce che nei rapporti tra i due paesi il diritto internazionale prevale sulla legislazione interna, le autorità azere interpretano le intese mediate dagli Stati Uniti come un motivo in più per intensificare le pressioni sull’Armenia.

Il «corridoio di Zangezur» e l’energia

Tuttavia, nel contesto dei possibili cambiamenti globali, l’aspetto più importante non è tanto l’accordo in sé quanto i documenti aggiuntivi firmati nella capitale statunitense, memorandum sulle comunicazioni di trasporto, sull’energia e sulla cooperazione tecnologica.

Secondo il memorandum sui trasporti, il tratto di 42 chilometri nella provincia armena di Syunik, proprio quel «corridoio di Zangezur», pur rimanendo formalmente sotto la sovranità della Repubblica di Armenia sarà gestito da una società privata statunitense.

Il memorandum sullo sviluppo del settore energetico prevede l’introduzione in Armenia di tecnologie statunitensi di centrali modulari, che finirebbero per estromettere progressivamente Rosatom dal paese. Attualmente Rosatom si occupa della centrale nucleare armena.

In futuro, inoltre, attraverso il cosiddetto «corridoio di Zangezur» potrebbe passare anche un gasdotto. L’Armenia potrebbe collegarsi a questa infrastruttura, sostituendo così la dipendenza attuale dal gas russo e iraniano con forniture azere. Questa possibilità è già oggetto di ampia discussione, almeno negli ambienti di esperti.

Prospettive e rischi

Non vi è dubbio che i dettagli di tutti questi accordi verranno precisati in successive consultazioni e documenti più dettagliati. Resta però molto reale il pericolo che l’Armenia, invece di diventare il «Crocevia del mondo» immaginato dalla propria leadership e dalla società, si trasformi in un territorio dipendente e privo di una reale capacità di decisione.

Questa dipendenza potrebbe nascere sia dall’alleanza tra Turchia e Azerbaigian, che si assicurerebbero un «arco panturco», cioè un collegamento terrestre diretto attraverso il territorio armeno che darebbe ad Ankara accesso all’Asia Centrale e al tempo stesso rappresenterebbe una seria sfida alla sicurezza dell’Iran, sia dagli Stati Uniti, alleato nella NATO della Turchia, che nel Caucaso meridionale, in Asia Centrale e naturalmente rispetto all’Iran hanno propri interessi.

Inoltre Israele, probabilmente l’alleato più stretto di Washington in Medio Oriente e non solo, trarrebbe a sua volta vantaggio dal «corridoio di Zangezur». Indebolendo l’Iran attraverso questa infrastruttura, Israele otterrebbe accesso alle regioni sopra menzionate insieme a Stati Uniti e Turchia, un partenariato il cui presunto «conflitto» con Tel Aviv difficilmente potrà suscitare serie preoccupazioni.

Accettando da un lato questa configurazione e dall’altro allontanandosi gradualmente da Russia e Iran, considerando che il controllo statunitense sul corridoio di Zangezur permetterebbe a Washington almeno indirettamente di monitorare il movimento delle merci iraniane verso l’Armenia, Erevan rischia di ritrovarsi accerchiata da Azerbaigian, Turchia e dai loro alleati.

Perfino la Georgia, a nord, fortemente influenzata sul piano economico da Ankara e Baku, difficilmente potrebbe essere considerata una «via di salvezza» in uno scenario del genere.

Già oggi nella società armena sono in corso discussioni sull’eventuale chiusura della centoduesima base militare russa situata a Gyumri*. Tuttavia, anche senza arrivare a questo passo, alla luce del deterioramento dei rapporti tra Mosca e Baku e del passaggio del corridoio di Zangezur sotto controllo statunitense, per la Russia sarebbe estremamente difficile fornire all’Armenia assistenza sia militare sia economica.
*La centoduesima base militare russa, la più grande base russa all’estero, si trova nella città di Gyumri, in Armenia. È stata creata nel 1995 ed è in servizio di combattimento nel quadro del sistema di difesa aerea congiunta della CSI in base a un trattato interstatale della durata di 49 anni, fino al 2044.

La 102a base militare russa a Gyumri

Detto questo, il livello dell’accordo di Washington offre a Erevan la possibilità di «ribaltare la partita». Anzitutto, prima che il documento venga attuato nella pratica, il paese dispone ancora di un certo margine di tempo, che può essere allungato fino a quando nella regione e nel mondo non si verificheranno cambiamenti più favorevoli.

In primo luogo si intende la conclusione dell’operazione militare speciale in Ucraina e il successivo spostamento dell’attenzione della Russia verso il Caucaso meridionale. In secondo luogo, sullo sfondo del rafforzamento del tandem turco-azero e del sostegno statunitense ad esso, inclusa la revoca da parte di Washington di tutte le restrizioni sulle forniture di armi all’Azerbaigian, per l’Armenia è fondamentale schierarsi con un centro di potere ancora in grado di proteggerla sia fisicamente sia economicamente.

Nonostante il forte calo di popolarità della Russia nella società armena dopo la perdita del Nagorno Karabakh e l’espulsione della popolazione armena in presenza dei peacekeeper russi, e a prescindere dall’evidente deterioramento dei rapporti armeno-russi negli ultimi anni, in questo caso non esiste alcuna alternativa alla Russia.

Nessun altro paese, oltre alla Federazione Russa, è in grado o ha anche solo dichiarato a parole la disponibilità a fornire all’Armenia un aiuto reale in caso di una nuova aggressione azera. Pochi potrebbero inoltre garantire all’Armenia l’agognato ruolo di «Crocevia del mondo».

In quanto membro dell’Unione Economica Eurasiatica l’Armenia beneficia dei vantaggi di questa unione e al tempo stesso funge da ponte verso l’Iran. In futuro potrebbe concentrare sul proprio territorio i flussi commerciali tra i partner eurasiatici amici o neutrali, dall’India, nell’ambito dell’arteria Nord Sud, e dalla Cina fino alla Russia e ai paesi europei.

Se le tensioni tra Russia e Azerbaigian dovessero intensificarsi, l’Armenia diventerebbe la «alternativa di corridoio» per Mosca e per il polo di potere eurasiatico emergente che si sta formando attorno ad essa.

Un simile sviluppo degli eventi, con profonde conseguenze geopolitiche, potrebbe inoltre aiutare Erevan, e la nazione armena nel suo insieme, a riottenere le terre perdute, sia l’Artsakh sia, potenzialmente, l’Armenia occidentale.

Per il momento ciò che conta non è compiere concessioni fondamentali o irreversibili, ma guadagnare tempo con pazienza, a condizione che le autorità abbiano la volontà politica necessaria e che la società conservi la propria determinazione.