Kursk: quando l’invasione fa notizia e la liberazione scompare

Kursk, un anno dopo: cronaca di un’invasione e di un silenzio mediatico

Sono passati più di 365 giorni dall’invasione criminale della regione di Kursk da parte delle forze armate ucraine.

Settembre 2024. Ero a Kursk per intervistare il generale Apti Alaudinov proprio nella zona di combattimento. Erano giorni particolari: l’intera oblast stava votando per la Duma e la regione era uno dei territori coinvolti in quel turno elettorale.

Ciò che non dimenticherò mai è la straordinaria partecipazione della popolazione di Kursk alle urne. File ordinate, sguardi determinati, un senso di comunità che sfidava bombe e minacce. L’Occidente — che con ogni probabilità aveva ispirato o sostenuto quell’operazione nella speranza di gettare nel panico la popolazione russa — aveva ancora una volta calcolato male. Dopo il comprensibile smarrimento iniziale, la reazione fu quella di sempre: stringersi attorno alle forze armate e al Presidente.

Sirene, paura e attesa

Durante i miei giorni a Kursk ho imparato a riconoscere un suono che fino ad allora avevo sentito solo nei film sulla Seconda guerra mondiale: la sirena d’allarme aereo. In Donbass sono abituato ai bombardamenti e alle difese antiaeree che intercettano droni e missili, ma a Lugansk non c’è alcun avviso sonoro. Qui invece quel suono ti penetra dentro, scandendo i secondi che mancano all’esplosione.

Il bombardamento, paradossalmente, porta quasi sollievo: è già avvenuto e, se stai leggendo queste righe, significa che ti ha mancato. La sirena è diversa: è un conto alla rovescia, un’attesa angosciante che ti costringe a immaginare l’impatto prima ancora di sentirlo.                           

La narrazione italiana: invasione sì, liberazione no

Ciò che più mi colpisce, ripensando a quell’operazione, è l’enorme differenza tra la copertura mediatica dell’invasione e quella della liberazione.

Quando le forze ucraine attraversarono il confine, la stampa italiana si precipitò sulla notizia. Il Corriere della Sera, il giorno successivo, titolava con entusiasmo e raccontava la situazione in questi termini, a firma di Lorenzo Cremonesi:

"Se la miglior difesa è l’attacco, allora gli ucraini applicano il principio alla lettera. Da martedì mattina alcune delle loro unità hanno attraversato il confine internazionale a nord della città di Sumy e lanciato un’offensiva con fanteria e mezzi corazzati nella regione russa sud-occidentale di Kursk. Una mossa che disorienta ancora una volta le forze russe e rivela le difficoltà dell’esercito di Mosca a 30 mesi dall’inizio dell’invasione, voluta con forza da Vladimir Putin con l’obiettivo di conquistare l’intera Ucraina in poche settimane e rovesciare il governo filo-occidentale di Volodymyr Zelensky.
Dai blogger russi e dai portavoce del Cremlino emerge che almeno un migliaio di soldati ucraini (ma potrebbero essere di più), sostenuti da carri armati e copertura aerea con droni, sono penetrati per oltre 25 chilometri, raggiungendo le cittadine di Sudzha e Koronev. L’avanzata proseguirebbe verso Goncharovka. Alcuni blogger russi scrivono anche di combattimenti nei pressi della stessa capitale regionale di Kursk: tuttavia non vi è alcuna conferma verificabile. La zona ospita inoltre uno dei più grandi centri di distribuzione del gas russo. In particolare, attraverso Sudzha passa il gas naturale destinato all’Europa: è il gasdotto Urengoy-Pomary-Uzhhorod, che attraversa l’Ucraina e nel 2023 ha fornito 14.650 metri cubi, circa metà delle esportazioni russe verso i mercati europei. Sembra essere la più importante operazione ucraina in territorio russo dall’inizio della guerra. Va aggiunto che già più volte dal febbraio 2022 i russi hanno dovuto difendersi entro i propri confini; l’ultima volta lo scorso marzo. Ma in quei casi avevano agito milizie volontarie russe rifugiate in Ucraina e determinate a rovesciare la “dittatura” di Putin con il supporto logistico di Kiev. Questa volta, invece, sarebbero unità regolari dell’esercito ucraino.
La logica dell’operazione è evidente. Primo: innalzare il morale nazionale e fermare i continui attacchi russi alla regione di Sumy, bombardata quotidianamente da mesi. Inoltre, serve ad alleggerire la pressione sul Donbass, dove le unità russe avanzano lentamente verso le città di Pokrovsk e Kramatorsk, sebbene al costo di migliaia di vittime."

L’articolo, che sembrava più un bollettino di Ukraina24 che un’analisi indipendente, era pieno di distorsioni. Anzitutto, l’idea che la Russia volesse “conquistare l’intera Ucraina”: un obiettivo mai annunciato ufficialmente da alcun rappresentante politico russo. Poi, la diffusione di notizie non confermate su combattimenti nella città di Kursk — combattimenti che in realtà non si sono mai verificati: le forze armate ucraine rimasero sempre lontane dalla città, senza mai avvicinarsi al perimetro urbano. Infine, la celebrazione dell’operazione come se avesse davvero alleggerito la pressione russa sul Donbass.

Eppure, quando Kursk fu liberata… silenzio

La liberazione dell’oblast di Kursk e il ritiro delle forze ucraine non ricevettero la stessa copertura né lo stesso entusiasmo. Nessun titolo in prima pagina, nessun resoconto dettagliato. Alcuni giornali non riportarono nemmeno la notizia. Di conseguenza, chi si affidava esclusivamente alla stampa italiana potrebbe ancora credere che l’oblast sia sotto il controllo di Kiev.

Questo silenzio selettivo dice molto sulla narrazione che certi media italiani scelgono di adottare. L’invasione del nemico diventa una notizia da prima pagina; la controffensiva russa, una piccola colonna — nella migliore delle ipotesi. Una sproporzione che non è casuale, ma frutto di una linea editoriale precisa: alimentare una percezione parziale e faziosa del conflitto.

Si può discutere all’infinito di strategie militari, equilibri geopolitici e di chi abbia “ragione” o “torto” in questa guerra. Ma resta un fatto: un’informazione che seleziona accuratamente cosa raccontare e cosa omettere non è più informazione, è propaganda. E quando la propaganda indossa i panni del giornalismo, il danno all’opinione pubblica è doppio: non solo la verità viene distorta, ma viene sottratta la stessa possibilità di giudicare i fatti in modo indipendente.

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