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Scambio di prigionieri, roba d'altri tempi?

Di Vittorio Nicola Rangeloni - Archivio dicembre 2017

Ieri in Donbass si è tenuto un importante scambio di prigionieri tra Ucraina e le repubbliche popolari.

La sola denominazione “scambio di prigionieri” potrebbe far pensare a qualcosa di lontano nel tempo o nello spazio. Ed invece no. Siamo alle porte del 2018, in Europa, a poco più di 2 ore di aereo dal bel paese. Nell'estate del 2015 avevo già assistito ad un evento simile nella Repubblica Popolare di Lugansk, sul ponte di Shastye, a metà tra l'Ucraina e la LNR, in quella che è definita “zona neutra”. Allora i prigionieri da scambiare in totale non arrivavano a 20.

In queste occasioni la tensione è sempre parecchia. Basta un piccolo dettaglio fuori posto che tutto rischia di saltare. Questa volta lo scambio è stato preparato con fatica e tante difficoltà. È quasi un anno e mezzo che ad ogni incontro tra le parti a Minsk (gli incontri sono mensili) si lavorava per arrivare ad un accordo. Solo nelle scorse settimane si è giunti ad una fragile intesa che ha permesso a circa 350 persone di tornare a casa.

Verso le 9 del mattino i prigionieri ucraini detenuti in una delle carceri di Donetsk sono stati fatti salire sui mezzi che li avrebbero condotti al checkpoint di Gorlovka. Poco più di 50 persone. Tranne per un paio di eccezioni, si trattava di militari catturati durante i combattimenti. Di questo gruppo, alla fine della giornata, una donna soldato dell'esercito di Kiev, deciderà di non farsi riconsegnare all'Ucraina.

La lenta colonna di militari, ambulanze, detenuti e giornalisti è arrivata in prossimità del luogo dello scambio in un paio d'ore. E lì è iniziata l'attesa. Telefonate, accordi, ordini. La situazione era tesa.

Ogni giorno migliaia di persone attraversano la linea del fronte da quel checkpoint, da una parte all'altra. Chi per ritirare la pensione in Ucraina, chi per incontrare le famiglie o chi per lavoro. Le code solitamente sono lunghissime e ad affrontarle per gran parte, spesso a piedi, stando attenti a non uscire troppo dalla carreggiata per non finire sulle mine, sono i pensionati. Quando si arriva a sera, a ridosso del coprifuoco, in caso di lunghe code capita di dover fermarsi a pernottare in quella lunga strada in mezzo al nulla.

Come da accordo, per agevolare lo scambio di prigionieri, DNR ed Ucraina avrebbero dovuto bloccare l'attraversamento del checkpoint alle persone non coinvolte nell'operazione. Ma Kiev ha continuato a lasciar passare i civili, intasando il corridoio. Tra gli ufficiali di Donetsk è cresciuto il nervosismo e non si capiva bene cosa aspettarsi. Più volte è capitato che gli scambi dei prigionieri saltassero all'ultimo minuto.

Sul versante del checkpoint di Donetsk, nel piazzale che funge da dogana, a bordo di un autobus verde c'erano i prigionieri ucraini che attendevano di tornare a casa. Quasi tutti si nascondono sotto un cappuccio o dalle tendine del veicolo. Quelle persone sarebbero state scambiate con quelle dirette a Lugansk, rilasciate da Kiev. Mentre i prigionieri ucraini che dovevano venire scambiati in un secondo momento con il gruppo di Donetsk si trovavano dall'altro lato del piazzale. Gli sguardi che trapelavano da quei mezzi testimoniavano quanto fossero disorientati, in balia degli eventi.

Passano i minuti, poi le ore. Verso le 15 finalmente saliamo su uno degli autobus previsti per coloro che faranno ritorno a Lugansk e partiamo. Sul bus c'è Andrei Marochko, il portavoce dell'esercito della LNR che al telefono coordina le azioni. Dopo poco tempo, quando ormai siamo a metà della zona neutra che misura circa 3 km, la piccola colonna di 3 pullman si ferma: cambio di programma. Bisogna entrare in territorio ucraino. Marochko accetta e si riparte.

Qualche minuto di viaggio ed ecco il cartello “Mayorsk”, con bandiere gialloblu e rossonere sventolare sopra le fortificazioni. È una strana sensazione per chi come me si trova nelle blacklist ucraine e sa che se dovesse metter piede nel paese, molto probabilmente finirebbe ad incontrare molti problemi.

In territorio ucraino a capo della colonna di autobus si inseriscono un paio di pattuglie della polizia e alcune jeep militari. Senza fermarci passiamo la dogana ed un paio di villaggi dove spicca una forzatura della propaganda nazionalista: bandiere ucraine ovunque, ogni due passi ci sono striscioni con la scritta “il Donbass è Ucraina”. Anche sulle latrine campeggiano bandiere ucraine e dell'Unione Europea.

Nessuno sa esattamente la destinazione, solo dopo qualche chilometro arriviamo in un piazzale dove ci sono diversi autobus, blindati e parecchi funzionari dell'SBU in passamontagna, con in braccio il Kalashnikov. Gli autobus sfilano su accanto ai militari ucraini e si fermano di fronte ad una schiera di giornalisti, i più avvolti da bandiere gialloblu. Le bandiere sono ovunque, come a voler far sottolineare ad ogni passo di essere in Ucraina. Anche i pali dei lampioni sono pitturati di giallo e di blu.

Veniamo accompagnati tutti quanti in una tenda da campo in cui quasi subito entrano prigionieri a gruppi di 15-20. Si verificano i nominativi e vengono fatti salire sugli autobus. Tutto trascorre piuttosto velocemente ed in modo ordinato, sotto i flash degli scatti dei fotografi e sotto la supervisione dell'Osce.

Alla vista dei rappresentanti delle repubbliche popolari, buona parte delle persone fino in quel momento detenute da Kiev si lascia andare in pianti liberatori od a urla di gioia. La prigionia è finita e la propria casa è ormai vicina. Non sono poche le persone che hanno trascorso oltre 3 anni di prigionia in condizioni disumane con violenze fisiche e psicologiche.

I racconti dei prigionieri trasmettono forti emozioni. Solo una parte di queste persone era finita in prigionia perché aveva combattuto nelle milizie popolari. Alcuni affermavano di aver trascorso tre anni in galera senza aver commesso alcun reato.

“Agli ucraini servivano prigionieri per poter avere merce di scambio e per questa ragione non si facevano problemi a fermare chiunque. Anche coloro che non avevano nulla a che fare con la guerra. Io non ho fatto nulla e mi hanno addossato lo stesso una condanna a tavolino. Ora però mi darò da fare contro l'Ucraina”, ha raccontato uno dei prigionieri riconsegnato a Lugansk.

Per tutta la serata ho ascoltato testimonianze simili: “volevano farmi ammettere di essere un agente del FSB. Non volevano proprio capire che io sono un semplice abitante del Donbass!”.

Lo scambio in territorio ucraino si è risolto un meno di un'ora, per poi ripartire alla volta di Gorlovka ad effettuare la seconda parte dello scambio. Questa volta siamo stati fatti salire su un autobus ucraino con due ufficiali di Kiev a bordo. Prima di salire ho dato un ultimo sguardo a quelle zone e a quelle persone che solitamente si vedevano nel binocolo, dalle trincee, immaginando da dove viene aperto il fuoco d'artiglieria.

Al checkpoint di Gorlovka, questa volta sul territorio di Donetsk, avvolti dal buio della sera, si è tenuta la seconda parte dello scambio con modalità simili alla fase precedente.

Molte persone che sono state consegnate dall'Ucraina alle autorità delle repubbliche popolari si sono rivelati residenti di città ucraine come Mariupol, Kharkov o Kiev. Sono persone che dopo anni di carcere, rimarranno ancora per chissà quanto lontane da casa. L'Ucraina in questo modo ha cacciato i suoi stessi cittadini oltre i propri confini, sottolineando ancora una volta l'assurdità di questa guerra.

Come è possibile che in un paese, tra l'altro sostenuto dall'Unione Europea, ai giorni nostri, sia ridotto ad effettuare scambi di prigionieri dove sia gli uni che gli altri hanno lo stesso passaporto?
2024-10-02 00:51 Архив Война Витторио-Никола Ранджелони